Il desiderio di essere come Piccolo : note a margine sul libro premiato con lo 'Strega'

Confesso di avere una predilezione per i perdenti. Proprio come lui, Francesco Piccolo.

Il mio approccio al suo strombazzato romanzo è stato dunque di estrema diffidenza. L’ho letto quando già del suo libro si discuteva (troppo) sui giornali e molto lo si criticava. Il solito scrittore corteggiato in TV, invitato da Fazio, dunque un uomo di sinistra ‘qualunquista’, per giunta nostalgico di Berlinguer.

Invece. Invece il suo ‘Il desiderio di essere come TUTTI’ è un bel libro. Anche se – come una parte della critica ha stabilito - non è un romanzo, né un saggio, né un racconto lungo, né un memoir. E’ bello, semplicemente. Di quei testi che dici: avrei voluto scriverlo io. Piccolo è intelligente e la prova sta nel fatto che, nel suo testo, pagina dopo pagina, mette in evidenza luci, e soprattutto ombre, sue e della sinistra. Insomma: non pretende di avere ragione. Di più: sembra sincero. Le domande che si pone sono: si può stare nel mondo senza appartenergli? Si può aspirare alla felicità se altri, intorno a te, proprio felici non sono? Cosa vuol dire 'partecipare'? Così, Francesco vive un’adolescenza superficiale e una giovinezza in bilico tra il dentro e il fuori, tra leggerezza consumistica e impegno, finché - un giorno - non decide: non può appartenere al mondo così come sta diventando, perché Berlinguer è morto e tutto quello che poteva essere è già stato. La parola ‘ormai’ diventa il refrain che, da quel momento, lo accompagnerà lungo la strada, e gli incontri, e la carriera giornalistica: sarà l’alibi per stare sul crinale, senza prendere posizione.
Dice lui: io sono un puro in un mondo che non funziona; puro e reazionario, come Berlinguer.
Quello che vedo non mi piace, ma tanto, ‘ormai’, non c’è più nulla da fare. Il compromesso storico ha fallito in partenza, Moro è stato ucciso: Craxi ha trionfato in politica e ha vinto, così, la logica cinica dell’arricchimento facile e dei finanziamenti ai partiti. Io - dice Piccolo - posso salvarmi finché mantengo vivo il mio spirito critico: scrivo pezzi e vado in posti che non mi piacciono, e lo ammetto, non mi nascondo; mi mantengo vigile perché – e finché -non sono d’accordo. Ma altro non posso fare: è già tutto successo, è già troppo tardi.

Leggendo il libro, mano a mano che si va avanti, si chiarisce il senso del titolo, che ripete una frase di Natalia Ginzburg usata nell' esergo. Nel desiderio di essere come gli altri dobbiamo mantenere intatta in noi quella unicità, quella diversità, che – qualsiasi sia la posizione che scegliamo di assumere – rappresenta il nostro nucleo più autentico. Sono due desideri, che forse non si realizzeranno mai: essere come tutti e non esserlo mai completamente. Quando Berlinguer decide di opporsi all’ eliminazione della scala mobile e non scende a patti con Craxi, decide in fondo di astrarsi, di aderire al progetto irrealizzabile del mondo così come dovrebbe essere. Dunque, decide di restare fuori dai fatti e dalla storia. Ma, sembra chiedersi Piccolo, siamo proprio sicuri che sia andata così?

Naturalmente, come sempre nella vita, molte domande resteranno senza risposta. Ne ‘Il senso di Smilla per la neve’ , di Peter Hoeg, c'è una frase che mi ha sempre inquietato: il commissario aveva risolto il caso, dunque poteva chiuderlo. Hoeg dice no: proprio perché abbiamo capito, il caso non si chiuderà. E non potrà mai chiudersi: si mette una pietra sopra solo a ciò che non capiamo. Forse è questo che Piccolo vuol dirci: finché ci manterremo aperti alla verità e alle sue mille sfaccettature, senza dare nulla per scontato, il caso non potrà considerarsi chiuso. 
E anche questo - in fondo - conta.

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